Tra leggenda e storia
La popolazione
Gli Abitanti
Gli abitanti vengono chiamati prevalentemente “capacioti” anche se taluni a volte ricorrono alla denominazione di "capacesi" o “capacensi”. E’ probabile che quest'ultima menzione derivi dalla forma corrente del latino volgare di cui vi è cenno nella lapide marmorea collocata nel 1741 sul frontale della Chiesa Madre là ove si legge, tra l’altro, “…populi capacensis…” per ricordare l’anno e l’artefice della sua ristrutturazione. Non risultano, tuttavia, altre fonti dalle quali sia possibile accreditare la fondatezza o l’autorevolezza di tali riferimenti. E’ certo, però, che, a memoria dei più anziani, nel corso del tempo è invalso l’uso di chiamare “capacioti” gli abitanti di questa comunità. Il che a noi piace molto, sia per affinità grafica che per assonanza fonetica ma anche per quel senso rappresentativo di abilità o di capacità, insiti nel suo significato, che ha accompagnato la nascita ma soprattutto il dinamico evolversi della cittadina. Non a caso le barche costruite a Capaci sono note da sempre con la denominazione di "capaciote". Peraltro, in diversi atti notarili ed in alcuni documenti amministrativi risalenti al XVI secolo (per es., censimento della popolazione del 1576) al territorio di pertinenza viene attribuita la denominazione di “terra capacis”, da cui appare più verosimile associare il nome di “capacioti” (e non "capacesi" o “capacensi”) ai suoi abitanti.
Il primo riscontro ufficiale della popolazione territorialmente residente risulta da un atto notarile del 13 aprile 1576, rogato "in castro terra Capacis". A quel tempo il paese contava circa 300 anime, un piccolo borgo di contadini e tre proprietari di barche da pesca ed aveva già assunto la forma di un centro fortificato. La città nel 1595 contava 321 abitanti e 141 case; ne contava 615 nel 1624, 882 nel 1713 con 221 case, 1057 nel 1750 e 2415 nel 1798, per passare a 3111 nel 1831 e 4245 nel 1852.
All'inizio di questo nuovo millennio conta 10.902 anime, 3347 famiglie e 4413 abitazioni.
Preistoria e Protostoria
In epoca preistorica il territorio si inseriva in un comprensorio molto ampio, quello di Carini, un'area caratterizzata da brusche e ripide costolature rocciose che si alzano verticalmente su strette zone pianeggianti a 2-3 Km dal mare la cui azione ne ha periodicamente modellate le pareti.
Il primo insediamento umano in questo sito fu di tipo cavernicolo e risale certamente all'Età Paleolitica o della Pietra Antica com'è dimostrato dalle numerose testimonianze archeologiche rinvenute nelle grotte dei rilievi sovrastanti l'abitato che costituirono ripari naturali contro ogni genere di insidie. La zona che meglio si prestò a condizioni di vita ottimali e che permise l'affermarsi di piccoli gruppi sociali fu quella compresa tra Raffo Rosso e Monte Colombrina perchè oltre ad essere costituita da caverne e ripari adatti a rifugio offrì abbondanti risorse di acqua sorgiva, una fitta vegetazione popolata da una grande varietà di selvaggina ed una fertile pianura ove agli inizi dell'Età del Bronzo l'uomo primitivo cominciò a costruire i propri villaggi e dove sicuramente visse per qualche migliaio di anni come sembra attestare l'uso prolungato delle necropoli scoperte di recente. La sua presenza nelle grotte fin dal paleolitico superiore è chiaramente attestata dalle numerose incisioni parietali oltre che dal rinvenimento di frammenti di selci appuntite, armi rudimentali sempre più perfezionate con le quali praticava la caccia, principale risorsa di sostentamento a quell'epoca.
Età Arcaica, Ellenica, Classica
Il quadro della storia insediativa che emerge da quanto sopra è sufficientemente chiaro: dapprima sede di antichissimi insediamenti preistorici e protostorici, il territorio diviene poi in età arcaica, classica ed ellenistica meta di frequentazioni di tipo coloniale, probabilmente nell'ambito di un'area influenzata dalla vicina città sicana di Hykkara.
Per l'età arcaica gli studiosi confermano sostanzialmente le conoscenze finora acquisite e le tracce insediative riscontrate alle pendici di Pizzo Muletta nella cosiddetta "Grotta dei Greci", già note da tempo. La più importante delle scoperte più recenti consiste nel rinvenimento nello stesso luogo di un frammento attico a figure nere (VI sec. a.C.) che riporta ad un periodo di circa un secolo e mezzo più antico la data di frequentazione umana conosciuta. La presenza di questo frammento, però, ritrovato di fronte ad una grotta in un territorio che non ha restituito altri segni di manufatti greci, fa supporre che la cavità fosse un piccolo santuario dedicato a qualche divinità e frequentato solo occasionalmente.
Riguardo all'età ellenistica rivestono particolare importanza le testimonianze di stanziamenti restituite dal pianoro di Contrada Gianpaolo situato sulla riva destra del torrente Ciachea. E' possibile che ricerche future possano accrescere lo stato delle conoscenze che sembrano essere, per la vicinanza del fiume, fra le più promettenti. La presenza costante di tali tracce insediative in prossimità della sua foce per un periodo di tempo molto lungo costituisce senza dubbio un forte indizio di conferma in quel luogo di una rilevante zona di approdo, trattandosi di una insenatura ben riparata dai venti e abbastanza ampia da permettere di tirare in secca le imbarcazioni ed in considerazione del rigoglioso entroterra che offriva sufficienti disponibilità di viveri e di scorte potabili oltre che di prezioso legname necessario per la costruzione o la riparazione di navigli.
Un simile scalo, ove ne venisse definitivamente comprovato un ruolo trainante nello sviluppo del territorio, ha dovuto sottostare sicuramente all'influenza ed al controllo degli abitanti di Hyccara poichè il corso d'acqua affianca una delle principali vie naturali di penetrazione verso l'interno, in uso ancora nei nostri giorni, proprio in direzione di quella città poco distante che oggi porta il nome di Carini.
All' età classica si riferiscono, invece, le numerose tracce che attestano presenze d'insediamento in un'area compresa tra Carini e Capaci. Il loro ritrovamento ben si inserisce nel quadro delle testimonianze raccolte nella "Grotta dei Cocci".
Naturale e progressivo il passaggio degli abitanti dai gruppi isolati delle grotte alle capanne sparse dei piccoli villaggi delle pianure e, di pari passo con l'aumento delle esigenze di difesa dei crescenti interessi comuni, ad una organizzazione sociale sempre più numerosa ed accentrata per meglio opporsi alla pressione di forze esterne che, spinte da mire colonialistiche o dalla necessità di creare nuove basi di espansione commerciale lungo le coste del Mediterraneo, finivano con l'imporre il proprio dominio sulle genti con le quali venivano a contatto. Ma molto più spesso i nostri antenati dovettero difendersi dalla minaccia di bande organizzate di feroci pirati o di avventurieri senza scrupoli che vivevano di ruberie e saccheggi e gettavano nel terrore le popolazioni costiere.
Età Romana
Per l'età romana non si segnalano, al momento, tracce di
insediamento. E' però importante sottolineare
che la vicina Piana di Carini è
ricca di varie testimonianze relative a questo periodo, raccolte a più riprese a
partire dal secolo scorso.
Di particolare interesse sono le catacombe cristiane, molto simili a quelle romane, scoperte nel 1899 a Villagrazia di Carini, ed il mosaico di un grande pavimento vermicolato, composto di pezzi cubici di marmo, di terracotta e di smalto, ritrovato nel 1873 in un’ala di un palazzo in Contrada San Nicola in Carini, che attestano la frequentazione di queste aree in età tardo-romana.
Inoltre diversi indizi, tra cui supporti per lumi scavati nelle pareti della "Grotta delle Incisioni", sembrerebbero confermare l'esistenza in loco di una necropoli paleocristiana.
Età Feudale
E' il periodo più oscuro della storia di questo territorio che riflette il drammatico conflitto nel quale si dibatterono le istituzioni politiche, economiche e sociali di quel tempo ed il profondo spirito di cambiamento che pure agli albori del primo millennio investirono, scuotendole, le Corti dell'Europa Occidentale.
Purtroppo, a partire dalla seconda metà del II secolo A.C., dell'homo capacens si perde ogni traccia. La sua memoria storica sembra smarrirsi improvvisamente nella nebbia del passato ove il confine tra leggenda e storia, ai margini di un evento bellico che nel 397 a.C. travolse per sempre la vicina Città di Mozia, diventa vaga e imperscrutabile per riapparire in tutt'altra realtà oltre un millennio dopo, il 15 settembre 1241, sotto la conformazione territorialmente strutturata di Casale ossia di borgata campestre con poco più di un centinaio di abitanti tra boscaioli e contadini.
E' certo comunque che i prodromi storici della Città sono da ricercarsi negli avvicendamenti più o meno lunghi delle dominazioni, avvenute sempre in forma violenta, da parte di popoli di diversa origine e cultura nel corso di molti secoli. Tuttavia fenici, cartaginesi, greci, romani, arabi, normanni, spagnoli, etc., che si sono succeduti spesso integrandosi a vicenda, non riuscirono mai a sovrapporre la propria all'originale civiltà che qui aveva avuto la sua culla. Da essi, però, le comunità locali impararono a foggiare un carattere più forte seppur contraddittorio ed appresero nuovi elementi di conoscenza che confluendo sotto ogni aspetto nella loro vita sociale finirono con il favorire la creazione di un nuovo insediamento stabile e la fondazione di un centro di riferimento politico con buone prospettive di sviluppo di questo territorio.
Età Moderna
Per le età successive all'evo antico le tracce direttamente riconoscibili sul terreno sono meno ampie ma non per questo meno interessanti. Nel centro storico, nucleo originario attorno al quale nasce e si evolve l'odierno abitato, si concentrano le principali testimonianze. Fra queste spicca per importanza storico-monumentale il complesso di Piazza Matrice costituito dalla Chiesa Madre, dalla Fontana con lapide e da Palazzo Pilo.
A partire dal XVI secolo lo sviluppo della Città e l'incremento della popolazione procederanno di pari passo in modo lento ma irreversibile.
Ma ciò fa parte della storia documentabile di questa comunità per la quale rinviamo all'apposito capitolo. Resta solo la speranza che dallo studio dei reperti archeologici recuperati nelle necropoli e custoditi nel Museo Archeologico di Palermo in attesa di lettura e catalogazione scaturiscano ulteriori informazioni sulle genti che, qui vivendo, hanno lasciato indelebili segni delle proprie caratteristiche individuali.
Un aspetto poco ricordato che
appartiene certamente alla storia è l'attività marinara in cui la città eccelse
fin dal XIII secolo. Nel 1584 l'ingegnere Camillo Camiliani,
nella sua relazione sullo stato delle coste siciliane, menziona la punta detta
Malpasso e una tonnara di pescatori capacioti e ricorda la spiaggia di
fronte a "Isola delle femine" che continua rocciosa, scoperta e arenosa fino a Carini e
alla Punta del Rais, rassicurando sull'ottima tenuta delle torri che "fanno
buona guardia alle incursioni dei corsari"; e di terrore e morte seminati nei
villaggi lungo la costa da feroci pirati sono pieni i racconti fatti dai più
anziani agli inizi del ventesimo secolo. Essi, riferendosi alle condizioni di
abbandono e di degrado delle torri, asseriscono di averlo appreso a loro volta
dai propri nonni. Se si pensa, poi, che proprio di fronte a Capaci, a
circa 50 Km, sorge la solitaria isola di Ustica che nel Medioevo i corsari
saraceni tennero a lungo come base per le loro incursioni, è facile immaginare
in quale terrore vivessero allora le comunità costiere. E' molto probabile, però, che la
costante presenza turca o saracena nell'area di questo centro abbia esaltato la
fantasia dei suoi abitanti ed abbia dato origine alla leggenda, sopra
riferita, delle tredici fanciulle turche, abbandonate dai propri
congiunti su una nave, lasciate alla deriva e naufragate sull' isolotto della
baia di Carini.
E' sintomatico del resto il ricordo di quel clima di paura e di disperazione che si coglie nel grido di allarme che risuonava nella vallata e tra i monti per avvertire del pericolo incombente:
"Allarmi!
Allarmi! La campana sona. Li turchi sunnu junti a la marina. Curriti! Curriti! Salvativi!" |