Monumenti
La Chiesa Madre
La
Chiesa Madre si erge sull'omonima piazza in pianta ottagonale ed in severo stile
barocco. Alla sua guida spirituale è preposto Don Pietro Macaluso,
in qualità di Vicario Amministratore dal I° gennaio 2012 e di Arciprete Parroco
dal 24 maggio (nomina
ufficializzata in data 19 agosto dello stesso anno),
succedendo a Mons. Giovan Battista
Vassallo
che ne ha retto le attività pastorali dal 5 ottobre 1975 alla propria morte, avvenuta il 23
maggio 2012. La sua
progettazione non è legata ad un modello particolare ma all'adozione di forme e
linee prospettiche inusitate che la rendono
davvero originale e singolare per i
pochissimi esempi reperibili nel capoluogo (come la chiesa del SS.
Salvatore sul Corso Vittorio Emanuele e quella gesuitica di San Francesco
Saverio all'Albergheria) e per i molti riscontri in modelli della più spinta architettura
continentale.
La sua fondazione non è confortata da alcuna fonte storica. E' tuttavia possibile risalire con sicura approssimazione alle sue origini sia attraverso l'attenta valutazione di taluni particolari architettonici che mediante la ricostruzione cronologica degli eventi che portarono alla sua edificazione su un breve rilievo roccioso.
Ci riferiamo, in primo luogo, all'impianto della viabilità secondaria dei quartieri abitativi che si affacciano sulla SS 113 e che delimitano il centro storico con la loro tipica forma ottagonale, identica a quella dell'edificio, ed, in particolare, al taglio della pietra di roccia su cui poggiano alcune mura portanti della chiesa stessa e delle abitazioni attigue: significative testimonianze della loro epoca contemporanea riferibile, per caratteristiche e stile, al tardo periodo rinascimentale cinquecentesco.
In secondo luogo, escludendo qualsiasi supposizione relativa ad una preesistente struttura sacra di origine greca, gli avvenimenti che seguirono rapidamente l'avvento della Baronia ci inducono a convenire che originariamente la Chiesa Madre è stata edificata con funzione di cappella patrizia nella seconda metà del 1523, qualche anno dopo il conferimento a Francesco Beccadelli Bologna del titolo di barone del Casale (18 marzo 1520) da parte dell'imperatore Carlo V e la successiva concessione di speciali privilegi - detti di Augusta, Siculiana e Terranova - per favorire il popolamento del territorio (9 ottobre 1521) e, sicuramente, subito dopo l'autorizzazione a costruire nel feudo un castello ed una torre (20 maggio 1523).
E', dunque, da
ritenere del tutto arbitraria
oltre che generica anche l'ipotesi secondo la quale
la Chiesa sarebbe sorta in tempi remoti "sulle rovine d'are fenicie e d'idoli romani", come sembra attestare l'iscrizione
apposta su una lapide collocata
all'interno a testimonianza dei lunghi lavori di restauro voluti
dall'arciprete don Antonino Monteleone e realizzati con il concorso della Regione Siciliana e
di tutti i fedeli. E' assai probabile che un pò l'entusiastico consenso riscosso
per il profondo rinnovamento
operato ed un pò lo spirito di intenso
fervore cristiano che ha permeato la solenne inaugurazione, avvenuta il 16
marzo 1969 alla presenza
di eminenti autorità, civili e religiosi (tra cui Mons. Corrado Mingo,
Arcivescovo di Monreale), abbiano forzato alquanto la mano ai suoi promotori. A ragion veduta, l'affermazione riveste un'importanza
puramente contingente e formale ed è da considerare alla stessa stregua di una
citazione di reminiscenza
classica o, come suol dirsi, di una licenza poetica giustificata del resto
dalla grande maestosità dell'opera. Risulta evidente, in ogni caso, che la sua
fondazione è strettamente legata alla nascita della città.
Fino al 1844 la Chiesa Madre è dipesa dalla
diocesi di Mazara del Vallo.
Elevata a
Parrocchia nel 1583 e ad Arcipretura il 22 ottobre 1697,
giusta atto Notar
Pietro Pistone di Carini, con il contemporaneo riconoscimento in perpetuo del diritto di patronato alla
famiglia Pilo, signori di Capaci, (privilegio venuto meno soltanto nei
primi anni del novecento),
venne aperta
al culto pubblico il 25 marzo
1741 mentre da circa sei anni ne era Economo Spirituale Don Girolamo
Macaluso ed erano ancora in corso i lavori di ampliamento
iniziati nel 1723 per volere dello stesso conte Ignazio, presente alla solenne
cerimonia con la famiglia, e più volte
sospesi per mancanza di fondi. E' proprio tra il 1741
ed il 1743 che essa è stata
sottoposta a profonde
modifiche ed a sostanziali rimaneggiamenti che hanno
portato, tra l'altro, alla creazione di un'abside e della
nuova entrata principale alla
quale si accede mediante una elegante scalinata a tenaglia.
Fino ad allora l'ingresso originario, conservato ai nostri giorni come apertura secondaria, si affacciava e si affaccia ancora oggi immutato sulla Via Pio IX.
La riedificazione come la sua consacrazione a Sant'Erasmo è stata voluta dallo stesso Conte Ignazio il quale ha dovuto superare non poche difficoltà con il clero riguardo la dedica del nuovo edificio che fino a quel momento aveva posto la sua tutela sotto gli auspici dell'antica Patrona, la Madonna del Rosario.
In tempi assai recenti essa ha subìto altri interventi conservativi che hanno interessato soprattutto il ripristino delle strutture originarie e, verso la metà del secolo scorso, le opere di indoratura all'interno che hanno apportato una luce prospettica nuova sulla volta centrale, lungo le navate laterali ed attorno agli imponenti pilastri ottagonali creando spazi ben definiti tra un rincorrersi di linee rette, curve e spezzate che vanno a ricomporsi in ordine raccolto nelle decorazioni, nei riquadri e nei motivi floreali settecenteschi dell'Altare Maggiore.
All'esterno la Chiesa
esprime solidità e imponenza ispirando assieme il fascino di un antico
misticismo che sembra
ammonire
sulla caducità delle cose sorgendo proprio di fronte alla
vecchia residenza dei Conti Pilo fino a poco tempo fa cadente ed in disuso seppure d'epoca
contemporanea.
Due ampie scalinate in pietra, cinte da un'elegante inferriata, si dipartono da una breve balza dal livello della piazza per ricongiungersi su di una grande terrazza davanti all'imponente portone centrale dell'ingresso principale affiancato da due portali gemelli più piccoli ma altrettanto maestosi.
La scenografia è davvero straordinaria e ben evidenzia anche esteriormente il gioco simmetrico delle linee arrotondate ed interrotte, curve e spezzate, sapientemente arricchite da vasi e cornici ornamentali, tipici dell'epoca, che definiscono la pittorica e severa armonia delle forme. L'insieme architettonico che ne scaturisce sembra vibrare in uno stupendo equilibrio di forze ed esaltarsi in uno spettacolare ma composto effetto monumentale percorso da una luce calda ed uniformemente diffusa.
In alto, al centro,
adorna da un grande festone, è visibile la lapide marmorea che ricorda l'anno e
l'artefice della sua riconfigurazione mentre ai lati sopra i portali due ampie
aperture ovali, incorniciate da altrettanti ricchi fregi, conferiscono un
fascino particolare al gioco prospettico di linee e di forme che rendono superba
la facciata. Questa si conclude in alto con un fastigio sinuoso a
sbalzo percorso da una profonda scanalatura e sormontato nella parte più interna
da una croce in ferro e da quattro basi a forma di piccole are quadrangolari
sulle quali si sovrappongono altrettanti brevi rialzi orlati di dimensioni decrescenti e culminanti con
"fiamme" in pietra scolpita, architettonicamente uguali ma diversamente appaiate: quelle centrali
dominano in altezza.
Il campanile che sorge sul
lato sinistro, in forma perfettamente quadrata e distinta esternamente in più
piani, risale probabilmente all'epoca della costruzione delle torri di
protezione del
territorio
ed è presumibile che originariamente sia stato eretto per essere destinato a
torre di avvistamento e di allarme (non di difesa) come
dimostrerebbe l'assenza di merlature, tipiche delle costruzioni protettive, ad integrazione
del sistema di copertura di salvaguardia muraria
del centro abitato. L'ipotesi è
avvalorata sia dalla sua assoluta estraneità architettonica al corpo dell'intero
edificio che
dalla sua altezza dominante. Occorre tenere presente, inoltre, che in origine la Chiesa era una struttura
di modeste dimensioni costruita di fronte al Castello e ad esso asservita con funzione di cappella patrizia, in
posizione lateralmente opposta e più arretrata
rispetto alla
sede del campanile e con ingresso situato in corrispondenza della Via Pio IX.
Non è da escludere, tuttavia, che la sua edificazione possa essere avvenuta in epoca successiva ai lavori di ampliamento della Chiesa, anche in un contesto strutturale del tutto difforme e forse provvisorio, dettato dalla sopravvenuta esigenza di doverlo destinare alla funzione di chiamata dei fedeli a tutt'oggi assolta. Tale prospettiva troverebbe giustificazione nell'urgenza di dover trasferire l'edificio, fino ad allora destinato ad uso privato dalla Famiglia Pilo, a proprietà pubblica al fine di riaffermarne il primato e la centralità nei confronti della Chiesa San Rocco costruita in contrapposizione qualche decennio prima con fondi pubblici ed in riguardo ai tempi che sotto ogni aspetto andavano rapidamente mutando.
Siamo infatti sul finire del
secolo XVIII e tutta l'Europa occidentale è attraversata da fremiti di profonda
insofferenza nei riguardi della classe politica aristocratica per l'incapacità
di attuazione di coraggiose e profonde riforme politiche istituzionali ed il
persistente arroccamento dietro assurde difese di posizioni
privilegiate.
Le considerazioni sopra esposte in ordine alla costruzione della torre campanaria non trovano significativi riscontri scritti o verbali sicchè la questione rimane ancora oggi aperta a tutte le soluzioni.
All'interno possenti colonne ottagonali si slanciano verso l'alto generando un gioco circolare di archi e delimitando una grande navata centrale e piccole navate laterali che si alternano con nicchie e rientranze, ove campeggiano altari di santi ed, in particolare, quelli del Patrono Sant'Erasmo e dell'Immacolata. Ai lati, lungo il perimetro poligonale, in armonia con le caratteristiche architettoniche dell'impianto, si aprono otto grandi finestre lunettate attraverso le quali la luce si diffonde uniformemente anche negli spazi più remoti creando tra le colonne effetti chiaroscurali di indubbia suggestività sacrale. Nella parte interna i pilastri sono arricchiti da fregi e figure geometriche in rilievo, tutti ornati da cornici dorate e rifiniti, nella parte più elevata, da finti capitelli. Frontalmente una soffusa e calda luminosità si espande sulla navata maggiore attraverso le due aperture ovali sovrastanti gli imponenti portoni d'ingresso laterali.
Sull'ampia volta si possono ammirare i meravigliosi affreschi
eseguiti nel 1744 dal pittore Giuseppe Trisca da Sciacca,
il quale ha voluto raffigurarvi
il Trionfo della Vergine, l'Incoronazione e la Gloria degli Angeli e
dei Santi e, intorno a
queste
immagini centrali, in otto piccoli riquadri ovali, altrettanti personaggi
dell'antico testamento dall'aspetto maestoso e imponente.
Per una più approfondita conoscenza dell'opera abbiamo ritenuto opportuno dedicarvi un apposito capitolo, sia per il tema teologico trattato (il dogma dell'Assunzione) che per le splendide raffigurazioni dell'empireo celeste, nelle quali l'umano ed il divino, soffusi e distinti da una tenue luce chiaroscurale, danno ampio respiro alla scena esaltando unitariamente la solennità del momento nella cornice di un classico simbolismo biblico.
Oltre che agli affreschi l'attenzione va rivolta anche alle pregevoli statue lignee di San Giuseppe (1816), opera del pittore palermitano Girolamo Bagnasco, di Sant'Erasmo (XVI sec.), attribuita ad uno dei fratelli Gagini, e dell'Immacolata (1800), di autore ignoto, nonchè a quella in telacolla, di scuola gaginesca, dell'Addolorata (XVI sec.), che viene esposta ai fedeli solo durante il periodo della Quaresima. Ma non possiamo trascurare il Crocifisso sull'Altare Maggiore (XVII sec.), realizzato in legno da frate Innocenzo da Petralia, la tela ottocentesca del "Martirio di Sant'Erasmo", eseguita dagli stessi Gagini, e quella della "Madonna del Rosario", scomparsa dalla chiesa circa cinquant'anni fa e recentemente ritrovata e ricollocata nella sua sede originaria. La paternità di quest'opera, sottoposta di recente a nuova revisione da parte del Professore Gaetano Correnti della Soprintendenza ai Beni Artistici di Palermo, viene ora riconosciuta alla Scuola di Antonio Manno, pittore vissuto a cavallo tra il 1700 e il 1800 e operante a Palermo, facendo venir meno la sua tradizionale attribuzione al Trisca, autore degli affreschi della volta.
Nella Chiesa sono custodite, inoltre, alcune opere del novecento: una statua della 'Vergine Assunta' e due Tele ("Natività" e "Ultima Cena") esposte nel Coro.
Sono andati perduti, invece, numerosi dipinti settecenteschi che ornavano le cappelle laterali, come quello di San Ciro che sovrastava l'omonimo altare che oggi ospita il fonte battesimale (il più antico manufatto in essa esistente scolpito in pietra di Billiemi e recante la data del 1711), dell'Immacolata dove si trova il confessionale, delle Anime del Purgatore sopra la porticina d'accesso al campanile, della Sacra Famiglia vicino all'altare di San Giuseppe. Sono da considerare dispersi anche il bellissimo organo a canne in oro zecchino che sovrastava la porta della sacrestia ed il pulpito in noce finemente scolpito che si addossava ad uno dei pilastri a sinistra della navata maggiore in prossimità del Presbiterio mentre si dice che il magnifico lampadario in gocce di cristallo di Boemia che pendeva dalla volta si trovi tuttora allocato in una sala della Regione Siciliana.
La
Natività (1989) è
senz'altro da annoverare tra le più pure e assorte
creazioni del Cotignola.
L'opera nasce da una eccezionale aderenza storica e trae ispirazione dalla viva
fantasia dell'artista che con tocchi sottili regolarizza i lineamenti delle
figure e li traduce in volumi geometrici di cristallino nitore. C'è nella calma
e distesa atmosfera dell'invenzione il compiacimento dell'artista di realizzare
un tema a lungo vagheggiato. Nel gioco scenico, in funzione dei contrasti delle
luci e delle ombre, la composizione di tutti gli elementi è calcolata in ogni
minimo particolare. La luce si diffonde delicatamente, l'ombra immerge ogni
immagine in un'atmosfera che ha una sua presenza e una funzione determinante
nella collocazione dell'opera, modellata espressamente per un ambiente in
penombra e tesa a creare coerentemente un tempo
ideale nel quale passato e
presente si congiungono.
Nell'Ultima Cena (1989) l'atmosfera si traduce invece in un alto valore espressivo determinato dalle singole figure disposte e racchiuse attorno a quella isolata e triste del Cristo. L'onda della comunicazione avvolge gli Apostoli e si manifesta in tutta la sua incisività attraverso la lucida e serrata essenzialità della scena. La reazione degli Apostoli all'annuncio è diversa, a seconda del carattere individuale, ma la commozione e l'incredulità in entrambi i gruppi sono espresse con uguale intensità. Le dita del Cristo s'irradiano nel gesto della benedizione mentre le figure, sorprese nel contrasto tra luci e ombre in una accentuazione del movimento, denunciano, nella delicata grazia delle movenze, una raffinata eleganza che è una caratteristica costante del maestro Cotignola. Il favoloso senso del miracolo della Resurrezione, l'immediata suggestione del divino che si erge possente alle spalle del Cristo pervade tutta l'opera dove l'artista scatena l'impeto drammatico della sua fantasia.
La varietà delle espressioni di tutti i personaggi, la complessità del dramma che sta per consumarsi richiedono, da parte dell'osservatore, una disponibilità ed una apertura mentale verso la vita dello spirito, condizioni essenziali per recepire il messaggio dell'artista che più volte è stato ospite gradito della Città.
Sotto la pavimentazione della
Chiesa, dietro al piccolo ambiente ricavato fra le due rampe di scale,
sussisterebbe ancora
una cripta mortuaria o catacomba ove, in età rinascimentale e barocca, si
svolgevano le attività di quattro sodalizi laicali (le Compagnie del SS.
Sacramento e della Madonna del Rosario e le Confraternite di Maria SS.
Addolorata e di S. Erasmo), che ne furono fittuari
fino a qualche anno dopo la
promulgazione dell'editto napoleonico di Saint-Cloud (1804), il quale,
introducendo una nuova disciplina
sulle aree cimiteriali, impose il divieto di sepoltura in luoghi consacrati al culto.
Essa si presenta in forma allungata e pressocché integra, con piccole nicchie scavate nelle pareti, volte a botte o lunettate e corridoi (oggi quasi tutti murati) che si perdono nelle profondità sotterranee e di cui nessuno conosce i camminamenti e l'esatta estensione.
Risalgono probabilmente alla stessa epoca la chiusura della cripta e la sistemazione a scivolo della copertura esterna mentre è soltanto verso la fine degli anni '50, in seguito a lavori di ripristino parziale dei sotterranei della Chiesa, che si è proceduto alla sua riapertura ed alla collocazione centrale di un portoncino come appare nel suo assetto attuale in linea con il ripiano della terrazzina.
La notizia che vuole l'esistenza di scritture sacre preesistenti alla Chiesa è a tutt'oggi priva di riscontro.